Viviamo certamente tempi grigi, ma negli ultimi anni il grigiore si è fatto più cupo, perché una interminabile crisi economica sta minando alle radici ogni residua fiducia nell’avvenire. Dopo il vaniloquio di chi in passato ci rassicurava che gli eventi di oltre Atlantico non ci avrebbero toccato, abbiamo verificato (e stiamo ancora verificando) la gravità di uno tsunami che si è abbattuto rovinosamente su un tessuto sociale intrinsecamente fragile.
D’altro canto gli imbonitori (generosi o ingenui) del positivismo ottocentesco, sostenitori delle “magnifiche sorti e progressive”, ci avevano illuso sulla indefettibilità del progresso economico e sociale e questo ha contribuito ulteriormente a renderci impreparati anche psicologicamente di fronte all’incalzare impietoso degli eventi. La caduta del muro di Berlino ha lasciato spazio ad un neoliberismo rampante, che è ora in difficoltà di fronte a una finanza “creativa” e spregiudicata.
Ne consegue che oggi ci ritroviamo come disorientati, sperduti in una landa che non conosciamo e costretti a fare i conti con una realtà inedita fatichiamo a trovare il bandolo di una matassa ingarbugliata, in cui annaspano anche le menti più illuminate. Stiamo così pericolosamente scivolando in una forma perniciosa di depressione collettiva, pericolo che occorre rapidamente scongiurare, recuperando energie sopite e rilanciando su basi nuove una convivenza sociale che rischia di appassire miserevolmente.
Non è più il tempo di accartocciarsi nell’autocompatimento; è il momento di reagire e la parola d’ordine è una sola: speranza. È un vocabolo piuttosto desueto, perché oggi siamo avvezzi a coltivare la concretezza del presente, a cogliere l’effimero e quando questo presente si colora di grigio cadiamo fatalmente nel ripiegamento su noi stessi, alimentando paura e angoscia. Occorre invece guardare oltre il contingente e paradossalmente ci offre uno spunto Leopardi, il poeta del pessimismo. Nel “Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere” egli riflette sul fatto che ognuno di noi accetterebbe di ricominciare la propria vita, ma nessuno preferirebbe ripercorrerla pedissequamente, così come essa si è svolta. Apparentemente a questa “nuova” vita non mancherebbe nulla, ma in realtà senza il gusto della novità, senza l’anelito della speranza, essa sarebbe priva di quella spinta che la rende “vivibile”.
La speranza cristiana
Non possiamo dunque camminare a capo chino, perché rischiamo di rallentare il nostro passo e, soprattutto, di non sapere dove andiamo a finire. Con la speranza cerchiano di proiettarci a testa alta verso il futuro, squarciando il torpore della rassegnazione e dell’abulia. Nella Cappella degli Scrovegni, a Padova, Giotto sembra cogliere questo aspetto, raffigurando la speranza con una figura angelicata, una fanciulla alata che non si lascia irretire dalle difficoltà terrene e si proietta fiduciosa con passo leggero verso l’alto, dove l’attende la corona di gloria. Accade, in fondo, nella vita quello che si sperimenta nella scienza, disciplina che si alimenta anche di difficoltà, ripensamenti, approssimazioni e non ritiene mai esaurito il suo compito. In questo senso il progredire della scienza è una forma di speranza, una virtù che per noi cristiani si associa alla fede e alla carità, formando il trittico teologale.
Ne “Il portico del mistero della seconda virtù” il poeta francese Charles Péguy considera la speranza come una sorella minore, ma in realtà è proprio la speranza che trascina le altre virtù nel cammino della vita, tanto che papa Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi giunge alla conclusione che la stessa fede è speranza.
Non si tratta, però, di una ingenua professione di ottimismo, non è una generica aspettativa o un desiderio inespresso; la speranza cristiana non è una virtù attendista, inerte, che confida nell’aleatorietà della fortuna. È certamente conscia della realtà e della violenza del male, ma è virtù che si alimenta di operosità, è creativa, tenace, piena di slancio e assegna il giusto spazio anche all’immaginazione. Questo atteggiamento realista per un verso fa della speranza un invito alla lotta, all’impegno, nella consapevolezza che il traguardo si sposta sempre in avanti, proprio quando ci sembra di averlo quasi raggiunto; la speranza è dunque una direzione di marcia piuttosto che una meta. Per altro verso, l’atteggiamento fiducioso ci insegna come suggerisce don Tonino Bello a non piangere sulle foglie che cadono, ma a guardare alle gemme che spuntano sui rami. Ancora più specificamente, la speranza cristiana è quella virtù che ci consente attraverso la Passione di Cristo di intravedere la gioia della Resurrezione.
La speranza è dunque troppo preziosa e non possiamo rinunciarvi, né come laici, né come cristiani. L’auspicio è formulato felicemente in questi versi del poeta Mario Luzi:
Il bulbo della speranza,
occultato sotto il suolo
ingombro di macerie,
non muoia,
in attesa di fiorire alla prima primavera.
Buona speranza a tutti!
Vito Procaccini, da “Il Murialdino”, settembre 2014, p. 4.