Preparazione al Mich’Est

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Anche alcuni giovani animatori dell’Opera San Michele sono stati dal 24 al 26 aprile presso l’Istituto Murialdo di Albano Laziale, dove si è svolta l’annuale preparazione alla prossima Estate Ragazzi. Erano centotrenta i futuri educatori di molte opere del Centro Sud che con i propri accompagnatori si sono interrogati intorno al significato del proprio servizio a favore dei più piccoli. Il tema scelto, il camaleonte Rangoalla ricerca della propria identità in un’avventura western, ha poi richiamato l’attenzione sulla scoperta della propria vocazione di battezzati e di educatori. Non sono mancati i laboratori e le sessioni per insegnare ai giovani animatori nuove attività, balli e giochi per accompagnare la storia di Rango.

Nella S. Messa alla fine dell’esperienza, nella domenica del Buon Pastore, p. Mario Aldegani ha ricordato che è il 35° anno che, dal lontano 1981, si svolgono le tre-giorni tra le opere dell’allora Provincia Romana per preparare l’Estate Ragazzi. Il superiore generale salutando p. Gino Savino, uno degli iniziatori di allora, ha voluto ricordare come il segno di ogni chiamata del Signore siano i suoi frutti perché “ogni vocazione è per sua natura generativa”.

San Michele: un filmato lungo 80 anni

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Ogni anno la nostra associazione (Amici ed ex-allievi del Murialdo) ricorda con la propria tessera sociale un momento significativo della vita dell’opera San Michele o dell’associazione stessa.

Quest’anno, invece, due immagini sono sintesi di un ottantennio: san Michele 1934 (posa della prima pietra), san Michele 2014 (conclusione dei restauri della chiesa).
Due date entro cui si svolge l’affascinante “avventura” dei Giuseppini del Murialdo nell’opera San Michele che vogliamo ricordare, più che con parole, con alcune immagini tratte dall’archivio fotografico dell’Opera in via di sistemazione.
Ma l’avventura foggiana ha un inizio alcuni anni prima: fin dal 1928 i Giuseppini operano a Foggia nell’orfanotrofio Maria Cristina con l’attigua chiesa della Madonna della Croce, poi abbattuti per la costruzione del palazzo degli uffici statali, e dal 1931 nella Chiesa di Sant’Angelo, sede del- la neonata parrocchia di San Michele, anch’essa abbattuta per far posto al municipio.
Dove costruire la nuova chiesa? E a chi affidarla? La scelta di fatto fu la naturale conseguenza di tre fattori: la disponibilità del suolo su via Capozzi, l’allora circonvallazione di Foggia, la stima e la simpatia del vescovo mons. Fortunato Maria
Farina e della cittadinanza verso i Giuseppini per quanto già realizzato al Maria Cristina e, al tempo stesso, il desiderio dei Giuseppini di disporre di una struttura pienamente funzionale al progetto educativo proprio della congregazione.
Nella convenzione tra il Vescovo e la Congregazione si legge: “…si fa cessione del terreno acquistato con l’obolo dei fedeli nel 1915 dal suo antecessore mons. Salvatore Bella per edificarvi la nuova Chiesa Parrocchiale di San Michele con relativa casa e ufficio parrocchiale, nonché un oratorio e ricreatorio catechistico ed altre opere assistenziali pei figli del popolo, e la gioventù in genere”. giornale murialdino2
Il 29 settembre 1934 si svolge la cerimonia della posa della prima pietra benedetta da mons. Farina, un masso rettangolare estratto nella zona di Monte S. Angelo. Inoltre, per preparare la malta necessaria per chiudere il cilindro con la pergamena viene utilizzata acqua raccolta nella grotta dell’Arcangelo Michele. Una scelta, ricorda padre Pietro Fipaldini, primo direttore dell’opera San Michele, fatta per porre l’Opera stessa sotto la protezione dell’Arcangelo.
Meno di due anni sono sufficienti per portare a termine i lavori. Il 20 giugno 1936 mons. Farina consacra la chiesa; l’indomani si inaugura l’Opera desti- nata a diventare nel corso degli anni punto di riferimento della gioventù foggiana.
Nasce così il Patronato Catechistico Interparrocchiale: è il nome ufficiale, che ben presto e per sempre diventerà l’Opera san Michele.
La chiesa è pronta per accogliere la comunità dei fedeli, ma ancora del tutto spoglia di immagini e così rimarrà fino al 1940, quando il pittore Mario Prayer darà inizio al suo lavoro che si concluderà nel 1942. Dopo circa tre anni il progetto pittorico è completo: dall’abside con San Michele e i cori angelici alle cappelle del Rosario e di Santa Lucia, alle stazioni della Via Crucis.
Anno dopo anno l’Opera crescerà per diventare sempre più funzionale alle attività parrocchiali e oratoriali. Ce ne offre una sintesi completa uno dei poster realizzati nel 2011 per la mgiornale murialdino3ostra del 75° dell’Opera “un’opera in continua crescita”: una foto aerea del 1940 con l’opera San Michele punto di riferimento centrale cui fanno corona aggiunte e trasformazioni per le quali può essere utile dare qualche notizia.
Fino alla fine degli anni ’40 per le attività non parrocchiali si dispone di cinque locali che al mattino vengono utilizzati come aule scolastiche e al pomeriggio, sovrapponendo l’uno sull’altro i (non leggeri!) banchi di legno, diventano sedi delle varie associazioni: azione cattolica, scout, Juventus. Finalmente sorgono altre strutture: dietro la parte absidale della chiesa viene costruito un salone (1950) adibito a scuola materna, che successivamente verrà inglobato dall’edificio che ospiterà le cinque classi di scuola elementare e l’Istituto Femminile con le suore Murialdine (1964).
Nell’ambito delle attività sportive notevole rilevanza ha il calcio, in particolare per l’attività della Juventus. Il campo? Per i meno giovani quante ginocchia sbucciate!; ma oggi non più con il fondo in erba sintetica. Non meno interessante la storia del campo di pallacanestro e pallavolo: inizio in terra battuta, poi fondo asfaltato e, infine, in sintetico.
… e ancora tanto ci sarebbe da scrivere per dare il giusto conto, oggi, del cammino iniziato con la prima pietra del lontano San Michele 1934 e concluso col recente restauro della chiesa.
È la cronaca, se pur incomgiornale murialdino6
pleta, della nascita e della crescita della nostra Opera nelle sue strutture. Necessarie, certo, ma solo strumento perché possa essere realizzato il progetto murialdino che ci viene proposto all’ingresso dell’Opera: nel nome di Gesù, Maria, Giuseppe (JMJ) l’Opera San Michele ci accoglie tutti per imparare, pregare, giocare.

Michele Coco, da “Il Murialdino”, n.5, dicembre 2014

Passaggi del Gruppo AGESCI Foggia 1

Emozionante la cerimonia dei passaggi scout: i lupetti dopo il terzo anno passano nel reparto, i capi squadriglia dopo 5 anni di reparto passano al noviziato…quest’anno anche i vecchi lupi e i capi che hanno guidato gli scout in questi anni affrontano nuove avventure, alcuni passano alla comunità capi altri guideranno branche diverse…in più nuovi ingressi tra i capi. Opera San Michele Arcangelo (FG) Reparto Croce del Sud/Branca RS/ Branco Fiore Rosso FG1

Giocare, imparare, pregare

10622907_10202935272208135_2499590789763283521_nL’Associazione Sportiva Dilettantistica Juventus San Michele, fondata nel lontano 1944, svolge la sua attività sportiva nell’ambito dell’Opera San Michele Arcangelo di Foggia, uniformando i propri principi educativi al carisma del Murialdo, fondatore dei Padri Giuseppini. Giocare, Imparare, Pregare, ecco in sintesi cosa è l’Oratorio per il Murialdo e questi principi sono diventati anche i nostri.
L’Associazione si è impegnata negli anni ad essere sempre al passo con i tempi adeguando sia le tecniche che le
strutture alle mutate esigenze dei ragazzi e dello sport in generale. Per questo motivo, anni fa, grazie all’impegno del Presidente, del Direttivo della Società e alla volontà di innovazione dei Padri Giuseppini, l’Associazione si è dotata di un campo in erba sintetica di ultima generazione, unica struttura del genere in città e ha implementato il numero dei Mister, dotando il proprio organico di tecnici laureati in Scienze Motorie e di ben 3 Tecnici UEFA B, nonché di un Mister dedicato esclusivamente alla preparazione dei portieri.
La voglia di sperimentare sempre qualcosa di nuovo e di far vivere l’esperienza del calcio al “gentil sesso”, ha portato il Presidente e il Direttivo, dopo una positiva sperimentazione di alcuni mesi nella passata stagione, ad avviare un corso femminile. Infine la convinzione che fare sport in modo sano e pulito sia una cosa positiva per i ragazzi, ha portato la Società ad organizzare lo scorso 28 settembre una mattina dedicata allo sport all’interno delle strutture dell’Opera San Michele. L’invito è stato esteso ai ragazzi/e della scuola primaria di Foggia e la partecipazione è stata significativa. I ragazzi hanno avuto sia la possibilità di conoscere l’organizzazione dell’Associazione e dell’Oratorio di San Michele, sia la possibilità di vivere in allegria alcune tecniche del gioco del calcio attraverso le attività proposte dai Mister. E non finisce qui… Alla prossima esperienza con la A.S.D. Juventus San Michele.

Salvatore Pilla

da Il Nuovo Voce di Popolo, n.1 del 5 ottobre 2014, p. 19

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50 anni di presenza della Scuola dell’infanzia San Michele Arcangelo

10686955_10202717636442147_5251822878797978850_n Il 4 ottobre 1964 arrivavano a Foggia le prime suore Murialdine di San Giuseppe su iniziativa di p. Aurelio Del Signore, Giuseppino del Murialdo, e allora parroco di S. Michele, che chiedeva alla Congregazione loro sorella, di affiancare la comunità Giuseppina a favore della gioventù femminile.
Ad esse venne così affidata la nuova Opera “Istituzione Femminile San Leonardo Murialdo”.
Le suore avviavano la Scuola materna ed elementare, fedeli al loro carisma che le vede impegnate a favore della gioventù e delle famiglie preferibilmente più povere. L’inaugurazione ufficiale avverrà il 26 ottobre dello stesso anno.
Da allora le Suore Murialdine si sono dedicate instancabilmente alla loro missione, trovando la massima disponibilità e accoglienza da parte delle famiglie. Nel corso degli anni a causa della carenza di personale interno, la comunità delle suore si è trovata nella necessità di chiudere dapprima la scuola elementare (il 16 giugno 1984) e successivamente a lasciare la direzione della scuola dell’Infanzia (il 30 giugno 2009).
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I frutti seminati, però, non sono caduti invano perché, vista la risposta delle famiglie a che la scuola potesse proseguire nel suo impegno per una buona formazione umana e cristiana dei fanciulli, le maestre che hanno lavorato con le suore negli ultimi anni della loro presenza, hanno deciso di dar continuità alla scuola, costituendosi in Cooperativa e prendendo in gestione la Scuola dell’Infanzia che rimane così motivata dagli stessi principi per servire tante famiglie con un’attenzione privilegiata ai più bisognosi.

10631143_10202717667682928_5683300130217232233_oLe nostre maestre hanno voluto ricordare questa circostanza, invitando le suore che hanno insegnato nella scuola alla celebrazione Eucaristica di ringraziamento presieduta dal nostro Arcivescovo mons. Francesco Pio Tamburrino, a cui è seguito un momento di festa fraterna con le famiglie dei bambini presso i locali della Scuola. Con gioia erano presenti sr. Lina e sr. Giovanna Berloffa, insieme alla Superiora Generale e alle suore che attualmente compongono la Comunità Religiosa delle Murialdine a Foggia. Quanti motivi di lode e di ringraziamento per tutti i doni che il Signore, Padre infinitamente buono, ci ha donato.

sr. Silvana Zullo


da Il Nuovo Voce di Popolo, n. 1 del 5 ottobre 2014, p. 11

 

 

La speranza tra auspicio e dovere

SpesViviamo certamente tempi grigi, ma negli ultimi anni il grigiore si è fatto più cupo, perché una interminabile crisi economica sta minando alle radici ogni residua fiducia nell’avvenire. Dopo il vaniloquio di chi in passato ci rassicurava che gli eventi di oltre Atlantico non ci avrebbero toccato, abbiamo verificato (e stiamo ancora verificando) la gravità di uno tsunami che si è abbattuto rovinosamente su un tessuto sociale intrinsecamente fragile.

D’altro canto gli imbonitori (generosi o ingenui) del positivismo ottocentesco, sostenitori delle “magnifiche sorti e progressive”, ci avevano illuso sulla indefettibilità del progresso economico e sociale e questo ha contribuito ulteriormente a renderci impreparati anche psicologicamente di fronte all’incalzare impietoso degli eventi. La caduta del muro di Berlino ha lasciato spazio ad un neoliberismo rampante, che è ora in difficoltà di fronte a una finanza “creativa” e spregiudicata.

Ne consegue che oggi ci ritroviamo come disorientati, sperduti in una landa che non conosciamo e costretti a fare i conti con una realtà inedita fatichiamo a trovare il bandolo di una matassa ingarbugliata, in cui annaspano anche le menti più illuminate. Stiamo così pericolosamente scivolando in una forma perniciosa di depressione collettiva, pericolo che occorre rapidamente scongiurare, recuperando energie sopite e rilanciando su basi nuove una convivenza sociale che rischia di appassire miserevolmente.

Non è più il tempo di accartocciarsi nell’autocompatimento; è il momento di reagire e la parola d’ordine è una sola: speranza. È un vocabolo piuttosto desueto, perché oggi siamo avvezzi a coltivare la concretezza del presente, a cogliere l’effimero e quando questo presente si colora di grigio cadiamo fatalmente nel ripiegamento su noi stessi, alimentando paura e angoscia. Occorre invece guardare oltre il contingente e paradossalmente ci offre uno spunto Leopardi, il poeta del pessimismo. Nel “Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere” egli riflette sul fatto che ognuno di noi accetterebbe di ricominciare la propria vita, ma nessuno preferirebbe ripercorrerla pedissequamente, così come essa si è svolta. Apparentemente a questa “nuova” vita non mancherebbe nulla, ma in realtà senza il gusto della novità, senza l’anelito della speranza, essa sarebbe priva di quella spinta che la rende “vivibile”.

La speranza cristiana
Non possiamo dunque camminare a capo chino, perché rischiamo di rallentare il nostro passo e, soprattutto, di non sapere dove andiamo a finire. Con la speranza cerchiano di proiettarci a testa alta verso il futuro, squarciando il torpore della rassegnazione e dell’abulia. Nella Cappella degli Scrovegni, a Padova, Giotto sembra cogliere questo aspetto, raffigurando la speranza con una figura angelicata, una fanciulla alata che non si lascia irretire dalle difficoltà terrene e si proietta fiduciosa con passo leggero verso l’alto, dove l’attende la corona di gloria. Accade, in fondo, nella vita quello che si sperimenta nella scienza, disciplina che si alimenta anche di difficoltà, ripensamenti, approssimazioni e non ritiene mai esaurito il suo compito. In questo senso il progredire della scienza è una forma di speranza, una virtù che per noi cristiani si associa alla fede e alla carità, formando il trittico teologale.

Ne “Il portico del mistero della seconda virtù” il poeta francese Charles Péguy considera la speranza come una sorella minore, ma in realtà è proprio la speranza che trascina le altre virtù nel cammino della vita, tanto che papa Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi giunge alla conclusione che la stessa fede è speranza.

Non si tratta, però, di una ingenua professione di ottimismo, non è una generica aspettativa o un desiderio inespresso; la speranza cristiana non è una virtù attendista, inerte, che confida nell’aleatorietà della fortuna. È certamente conscia della realtà e della violenza del male, ma è virtù che si alimenta di operosità, è creativa, tenace, piena di slancio e assegna il giusto spazio anche all’immaginazione. Questo atteggiamento realista per un verso fa della speranza un invito alla lotta, all’impegno, nella consapevolezza che il traguardo si sposta sempre in avanti, proprio quando ci sembra di averlo quasi raggiunto; la speranza è dunque una direzione di marcia piuttosto che una meta. Per altro verso, l’atteggiamento fiducioso ci insegna come suggerisce don Tonino Bello a non piangere sulle foglie che cadono, ma a guardare alle gemme che spuntano sui rami. Ancora più specificamente, la speranza cristiana è quella virtù che ci consente attraverso la Passione di Cristo di intravedere la gioia della Resurrezione.

La speranza è dunque troppo preziosa e non possiamo rinunciarvi, né come laici, né come cristiani. L’auspicio è formulato felicemente in questi versi del poeta Mario Luzi:

Il bulbo della speranza,
occultato sotto il suolo
ingombro di macerie,
non muoia,

in attesa di fiorire alla prima primavera.

Buona speranza a tutti!

Vito Procaccini, da “Il Murialdino”, settembre 2014, p. 4.

 

San Michele: l’ultima “apparizione”

San_Michele_Arcangelo_particolareTra devozione ed arte, si arricchisce di nuovi suggestivi richiami la “presenza” a Foggia dell’Arcangelo Michele.
Il culto, certo, viene dal Gargano. Ma già la realizzazione dell’Opera San Michele, con la feconda missione dei Padri Giuseppini del Murialdo, ha contribuito, nell’arco di ottant’anni, a diffondere e radicare nel Capoluogo un sentimento di devozione e di fede tutto particolare. Un culto che si rispecchia nella toponomastica cittadina con una via dedicata proprio all’“Arcangelo Michele”; che si perpetua financo attraverso il nome appunto, Michele che in tante famiglie si continua ad imporre a tanti bambini al fonte battesimale; e si manifesta in maniera ancor più visibile nelle statuette votive dell’Arcangelo collocate in alto, con fiori e luci, nelle nicchie sulle facciate di diverse case della vecchia Foggia. La stessa immagine dipinta mirabilmente da Mario Prayer nel 1940 campeggia con luminosa maestosità sull’altare della chiesa dell’Opera murialdina (un San Michele gigantesco che, con la spada in pugno e il Crocifisso levato, tiene il Maligno soggiogato sotto un piede), mentre un’altra statua, lignea, sempre appartenente ai Murialdini dell’Opera, presenta fattezze più semplici e ingenue, con un San Michele raffigurato quasi come un fanciullo guerriero, armato di un’esile ma lunghissima spada e col piede immancabilmente calcato sul Demonio vinto e boccheggiante.

La statua dell’Arcangelo probabilmente più cara e aperta alla devozione popolare si trova invece all’ombra di Palazzo di città: nella cornice dello storico “Arco di san Michele”, felicemente recuperato dopo aver superato anch’esso, miracolosamente, le devastanti prove dei bombardamenti.

Poteva già bastare, questa suggestiva serie di immagini, per un riscontro anche artisticamente visivo sul grado di devozione che il popolo foggiano riserva al “suo” San Michele. Invece no. Ecco ora infatti col senso di una quasi prodigiosa riscoperta una nuova artistica effigie micaelica. L’occasione viene dalla riapertura al culto della caratteristica “Chiesa dei Morti” (o “del Purgatorio”) più propriamente dedicata alla “Grande Vergine, madre della Misericordia”.

Lì, tra sfondi bruni e sprazzi di fregi dorati, ecco ricomparire anche una levigata e corposa statua dell’Arcangelo. In marmo bianco, si presenta di pregevole fattura, con un rilievo evidenziato anche dalla collocazione, in un posto decisamente d’onore: una nicchia accanto all’altare maggiore. Anche se resta sinora da spiegare il motivo di questa privilegiata posizione (dalla nicchia sull’altro lato dell’altare sormontato dalla tela di un “Ecce homo” attribuita, nientemeno, a Guido Reni si affaccia una statua dell’Angelo custode, di analogo stile), di queste sculture è possibile conoscere sia l’epoca (intorno al 1680), sia gli autori: rispettivamente gli scultori Lorenzo Vaccaro e Pietro Ghetti.

La formazione poi, nella zona della chiesa, di una rete di Ipogei forse ancora non del tutto esplorati (e che dalla riapertura del tempio possono trarre supplementari motivi di interesse e valorizzazione), richiama, con singolari accostamenti, gli scenari della Grotta dell’apparizione dell’Arcangelo sul Gargano. Sì che non sarebbe del tutto infondato sperare o almeno auspicare che da un evento eminentemente religioso come quello, appunto, del recupero di un antico tempio ricco d’arte e di storia possano nascere e corroborarsi occasioni di ripresa anche in campo economico e culturale, sulla base di questi nuovi insperati motivi di attrattiva e richiamo per l’intero centro storico di Foggia. Sarebbe, in senso moderno, un altro “miracolo”, nel quale ancora una volta il nostro san Michele rivelerebbe il segno della sua particolare predilezione per questa città, con una presenza non circoscritta soltanto alle immagini di sculture e dipinti: con la forza irruente della sua spada, con l’ala rassicurante della sua protezione.

di Marco Laratro, Il Murialdino, settembre 2014, p.3

Ridateci la dignità

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Dai tempi più remoti e fino ai nostri giorni, nella società cosiddetta civile, la dignità umana viene spesso calpestata e offesa.
Pensiamo allo sfruttamento dei minori, al maltrattamento di anziani indifesi e isolati, agli immigrati discriminati per il colore della pelle o della nazionalità, al mobbing a cui spesso si è sottoposti sui luoghi di lavoro e tanto ancora, per comprendere come la dignità dell’uomo viene oltraggiata anche in modo subdolo e sottile.
Stiamo vivendo in una società globale in cui la crisi dell’economia ci dimostra come sia prevalsa la logica del profitto a cui tutto viene sottomesso.
Ed è in nome della crisi che molto spesso i diritti vengono soffocati ed i più forti prevaricando i confini del rispetto umano, impongono con arroganza il loro volere. Assistiamo così a fabbriche che chiudono, ad imprenditori che pur di sopravvivere spostano in altri paesi i loro interessi, mentre altri, per mancanza di commesse, sono costretti a licenziare, lasciando intere famiglie senza sostentamento per la mancanza di lavoro. Tutto avviene sotto lo sguardo gelido e incurante dei governanti, che da tempo dibattono solo su strategie ed interessi di partito, mentre, molti onesti, presi dallo sgomento, diventano “martiri del non lavoro”.
Ma cosa accade quando si perde il lavoro e quali sono le ripercussioni sul benessere e sulle relazioni dell’individuo?
Spesso le conseguenze più dure della carenza di lavoro sono a carico delle famiglie.
La disgregazione tra i coniugi e le difficoltà di relazione con i figli sono conseguenza della grave crisi occupazionale.
Quasi ogni giorno la cronaca ci riporta casi di suicidio per la mancanza di lavoro.
Mi chiedo: “Quanti morti dovremo piangere ancora per riuscire a cambiare un sistema che conduce l’uomo nel
tunnel della disperazione?
Quando potremo avere un segnale positivo da chi dovrebbe difendere e risollevare la dignità umana e ridarci la speranza?
Il 5 luglio nello stadio di Campobasso il Papa ha detto “Non avere lavoro non è solo non avere il necessario per vivere: no, noi possiamo mangiare tutti i giorni, andare alla Caritas o altre associazioni. Il problema è non portare il pane a casa, questo toglie la dignità”.
Eppure se leggiamo la nostra carta costituzionale ci accorgiamo che l’articolo 1 mette il lavoro come elemento fondante della nostra Repubblica, mentre l’articolo 4, afferma che lo Stato riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto.
Il lavoro serve non solo per massimizzare produzione e profitti, ma soprattutto come funzione sociale riconoscendo all’individuo la possibilità e la responsabilità di costruire il progetto di vita per realizzare se stesso. Tutto ciò sembra appartenere al libro dei sogni, tanto siamo annichiliti e storditi da un sistema drogato, quasi incapace di indicare la retta via alle future generazioni.
Molti tentano di giustificare la mancanza di lavoro alimentando il conflitto tra nuove e vecchie generazioni.
Di fatto esiste una reale incapacità della classe politica di affrontare e risolvere il problema.
Da più di un decennio assistiamo alla perdita di migliaia di posti di lavoro, all’utilizzo di ammortizzatori sociali per anticipare l’uscita dalle grandi aziende di tanti lavoratori con la promessa di lasciare posto ai più giovani, ma sono rimaste promesse ed oggi sono i pensionati e gli anziani che mantengono la pace sociale, continuando con privazioni e sacrifici a sostenere figli e nipoti che non hanno o che hanno perso il lavoro.
Non avere lavoro è diventato una piaga sociale e le statistiche sono implacabili.
A luglio di quest’anno il tasso di disoccupazione è stato pari al 12,9%
mentre quella giovanile è arrivato al 42,9%, con una prospettiva che non lascia intravedere margini di miglioramento.
Ai più giovani non resta che emigrare, abbandonare la propria terra per non arrendersi all’immobilismo o al riciclaggio in attività marginali e mal retribuite.
Le menti migliori volano oltre i confini dove vengono riconosciute e possono impiegare al meglio quelle caratteristiche che ci hanno sempre contraddistinto nel mondo: intelligenza e fantasia; eleganza e creatività.
Dov’è il cuore del problema? Quando e dove è iniziato il declino? Di chi è la colpa?
Un nome non c’è, oppure sì?
Per scagionare tutti diremo che è colpa della globalizzazione e delle nuove tecnologie, della cattiva gestione e amministrazione dei governi alla guida delle nazioni. Siamo tutti un po’ confusi e disorientati, indeboliti da una sofferenza che toglie la gioia di vivere e la speranza di andare avanti.
Non perdiamoci d’animo, però. Certo non basta alzare lo sguardo sull’orizzonte per continuare a sperare, ma tutti insieme dobbiamo concretamente percorrere le strade difficili del cambiamento, consapevoli che il compito spetta anche a noi cittadini che dobbiamo assumere il ruolo di artefici e protagonisti per affrontare quelle sfide che rendono possibile la realizzazione di una società più giusta e solidale.
Giovanni Picucci, Il Murialdino, settembre 2014, p. 2