La resurrezione di Gesù

Intanto facciamo una prima considerazione: la fine di Gesù non è stata descritta dagli evangelisti con i verbi che indicano il morire (gr. apothaneskô, teleutaô), ma tutti scrivono che Gesù “lasciò/donò lo Spirito” (paredôken to pneuma, Gv 19,30), o “spirò” (exepneusen, Mc 15,37; Lc 23,45). Quindi, quella descritta dagli evangelisti non è una scena di morte ma di vita, e il gesto di Gesù è compiuto con piena consapevolezza.

Attraverso l’impiego del verbo spirare, mai adoperato prima dei vangeli per descrivere la morte di un individuo, gli evangelisti intendono indicare che la vita non è tolta a Gesù, ma è lui che la dona, comunicando lo Spirito che aveva ricevuto dal Padre al momento del battesimo (Mt 3,16).

Ricordiamo inoltre che la sepoltura di Gesù descritta da Giovanni è una scena di vita, non di morte, perché parla di un giardino e l’aloe e la mirra portati da Giuseppe di Arimatea e da Nicodemo in grande quantità (100 libre!) sono i  profumi che si usavano nelle nozze, non nella sepoltura dei morti.

 

Secondo Paolo, “se Cristo non è resuscitato (…) è vana anche la vostra fede” (1Cor 15,14): quindi è importante credere che Gesù sia resuscitato, ma cosa significa che Gesù è resuscitato? Anche qui purtroppo abbiamo le idee un po’ confuse o addirittura deviate. Il fatto della resurrezione non è descritto in nessun Vangelo.

L’unica descrizione della resurrezione di Gesù la Chiesa non l’ha considerata autentica, ed è purtroppo invece quella che ha eccitato la fantasia degli scrittori e degli artisti. La conosciamo tutti l’immagine del Gesù trionfante che esce dalla tomba con il vessillo della vittoria: non appartiene ai Vangeli, ma è in un testo apocrifo del 150 chiamato il Vangelo di Pietro.

Quindi nessun Vangelo ci descrive la resurrezione di Gesù. Tutti la descrivono in forme diverse, ma il significato che intendono proporre è identico: ci offrono la possibilità di sperimentarlo resuscitato. Non è possibile credere che Gesù è resuscitato perché ci viene insegnato dalla Chiesa, e neanche perché è scritto nei Vangeli: fintanto che non si sperimenta nella propria esistenza la realtà di Gesù vivo e vivificante, non è possibile credere a Gesù resuscitato.

Ecco perché, mentre nessuno dei Vangeli ci dice come Gesù è resuscitato, tutti, in maniera differente l’uno dall’altro, danno l’indicazione di come sperimentarlo resuscitato. La resurrezione di Gesù non appartiene alla storia ma alla fede, non è un episodio della cronaca, ma è un episodio che si chiama teologico.

Cosa significa? Se al momento della resurrezione di Gesù fosse stata presente, oggi, la televisione con fotografi, non avrebbero fotografato e ripreso assolutamente niente, perché la resurrezione di Gesù non è un episodio storico, ma un episodio che riguarda la fede: non è possibile vedere con gli occhi, con la vista fisica Gesù resuscitato, bisogna vederlo con la vista interiore.

Questo può sconcertare, ma è quello che ci presentano gli evangelisti. Se avete dimestichezza con i Vangeli, provate ad andare a leggere i racconti della resurrezione: ogni evangelista ce la presenta in maniera differente e non è possibile conciliare un Vangelo con l’altro.

Quello che ci sembra il più normale come relazione è il Vangelo di Giovanni. Nel Vangelo di Giovanni Gesù è stato assassinato a Gerusalemme, quindi è morto a Gerusalemme, è resuscitato a Gerusalemme; i discepoli sono racchiusi nel cenacolo per paura di fare la stessa fine di Gesù a Gerusalemme, Gesù appena resuscitato appare ai suoi discepoli.

Questa è la relazione che ci sembra, anche storicamente, la più plausibile; quindi Gesù resuscitato, la prima cosa che fa, si fa presente  ai suoi discepoli, viene sperimentato vivo dai discepoli. Questo nel Vangelo di Giovanni: ma nel Vangelo di Matteo, quello che adesso noi tratteremo, l’episodio è completamente diverso. Gesù, morto a Gerusalemme, resuscitato a Gerusalemme, non compare ai discepoli; manda a dire: “mi volete vedere? Andate in Galilea!” (cfr. Mt 28,10). Cioè fate i quattro giorni di cammino per coprire i 125 Km. che separano Gerusalemme dalla Galilea. Allora vedete che tra i due episodi non è possibile alcuna conciliazione.

O Gesù è apparso il giorno della sua resurrezione ai suoi discepoli a Gerusalemme o, come dice Matteo, li ha costretti ad andare in Galilea. Da Gerusalemme in Galilea ci sono normalmente 4 giorni di cammino, perché questa bizzarria? Ma non è più normale quello che ha scritto Giovanni, che Gesù resuscitato appare subito ai suoi discepoli? Perché li manda in Galilea e ritarda l’esperienza importantissima della resurrezione?

Ebbene, tutti gli evangelisti indicano la stessa cosa: il significato è lo stesso, le forme per presentarlo sono differenti. Tutti gli evangelisti ci vogliono dire questa profonda verità:  l’esperienza di Gesù vivo può esere fatta in luoghi e circostanze diverse da ogni persona o gruppo; l’importante è  mettere in pratica il suo messaggio, vivendo come lui è vissuto.

Ecco allora in un altro Vangelo, per esempio nel Vangelo di Luca, conosciamo tutti l’episodio dei discepoli di Emmaus: anche lì non è possibile conciliarlo né con Giovanni né tanto meno con Matteo. Tutti gli evangelisti indicano la stessa cosa: nessuno ci dice come è risorto Gesù ma tutti ci dicono che è possibile sperimentarlo resuscitato, vivendo come lui è vissuto.

Nel Vangelo di Luca, quand’è che i discepoli si rendono conto che quel compagno di viaggio è Gesù? Quando  spezzano il pane con lui; cioè “siamo disposti a divenire pane spezzato, come hai fatto tu. In quel momento sperimentano nella propria esistenza la presenza di Gesù vivo e vivificante. Nel Vangelo di Giovanni Gesù dice: Come il padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv 20,21), cioè: “Come io ho compiuto la missione che il Padre e mi ha affidato e mi sono speso a servizio degli altri, fino a donare la mia vita, e il Padre mi ha risuscitato; fate anche voi lo stesso e avrete in voi una qualità di vita talmente forte da essere indistruttibile, – cioè una vita divina -, e quindi sperimenterete che io sono vivo.

Purtroppo nell’insegnamento cristiano si sono infilate delle idee che nulla hanno a vedere con il messaggio di Gesù. Una di queste idee è stata presa in prestito dalla filosofia greca ed è la teoria dell’immortalità dell’anima. La conoscete, c’è un’anima che sta nei cieli, scende sulla terra, entra in un corpo, ma vede il corpo come una specie di prigione e non vede l’ora di ritornare a Dio. Quindi anche noi si diceva: “Il corpo si corrompe, ma l’anima va in paradiso; si parlava delle “anime del purgatori”! Ma non è questo la resurrezione; non è questo il nostro destino.

La risurrezione della persona tutta intera, anima e corpo,  è una idea esclusiva del N.T. e del primitivo cristianesimo. C’è uno dei Padri della Chiesa, S. Giustino, che dice: «quando incontri uno che si dice cristiano, tu chiedigli: “Tu credi alla risurrezione dei morti o alla immortalità dell’anima? Se ti risponde l’immortalità dell’anima non è cristiano». I cristiani non credono all’immortalità dell’anima, ma alla risurrezione; sono due concetti completamente differenti.

I cristiani non credono all’immortalità dell’anima perché quello di anima è un concetto completamente sconosciuto nella cultura ebraica.

Nella cultura ebraica c’è la persona, che è composta naturalmente di corpo e spirito, quindi l’idea di un’anima immortale, nel mondo ebraico era completamente sconosciuta e quindi anche nell’insegnamento di Gesù.  Quando si muore non c’è un’anima che sopravvive, ma c’è la persona stessa che può continuare la sua esistenza.

Prima di passare ad analizzare il capitolo  28° di Matteo,  vorrei dirvi una parola su di una pagina del 4° vangelo che viene proclamata nel periodo pasquale. Mi riferisco all’inizio del capitolo 20. All’annunzio della Maddalena della tomba trovata vuota, Pietro e e il discepolo che Gesù amava corrono a constatare il fatto. Pietro si china a vedere, ma non capisce l’evento; il discepolo “che era arrivato primo al seplocro, entrò, vide e cretette (èiden kai episteusen).” Ora i greci hanno due verbi per indicare “vedere”: blepo e orào. Il primo indica l’esercizio dell’occhio; il secondo significa intuire, conoscere in profondità. Ebbene l’evangelista usa il verbo orào (irregolare con tre radici or, id, op). Lo stesso verbo l’evangelista lo  usa nel primo capitolo, quando parla del primo incontro con Gesù dei due discepoli di Giovanni.  All’invito di Gesù “Venite e vedete”, essi “andarono e videro (èlthon kai èiden.)

 

Un’alleanza fra parrocchie e istituzioni per affrontare l’emergenza educativa

Gli oratori si danno da fare per la città e sono attori protagonisti, 
all'interno delle politiche giovanili, sociali e dello sport, di percorsi, di 
servizi educativi, di luoghi di socialità, di integrazione. Approfondiamo 
questo ruolo guardando all'esperienza di Brescia, città che ospiterà a 
settembre <<H10>>. Il rapporto di fiducia che gli oratori hanno con la comunità 
civile si esprime in tanti modi su tutto il territorio nazionale, ma 
nell'esperienza bresciana è interessante per la sistematicità con cui è 
costruito. Nella città lombarda, infatti, da settembre 2009 è stato stipulato, 
tra le parrocchie cittadine e l'amministrazione comunale, un accordo quadro di 
collaborazione <<per la promozione e il sostegno di iniziative tramite gli 
oratori a favore dei ragazzi in età evolutiva>>. Da questo accordo è nato un 
tavolo operativo, che vede rappresentanti degli oratori (con la presenza 
dell'Ufficio diocesano) seduti accanto agli assessori delle aree di 
riferimento. Ciò permette una visione condivisa per attivare e incentivare 
servizi educativi (spazi organizzati nei pomeriggi, laboratori, accoglienza) e 
valorizzare il patrimonio anche immobiliare degli oratori (sono stati fatti 
investimenti per il rinnovamento delle strutture sportive, delle sale prove 
musicali, delle sale della comunità). L'accordo è stato discusso e votato 
all'interno del Consiglio comunale, ricevendo, di fatto, un'approvazione 
all'unanimità che sottolinea il ruolo di patrimonio educativo degli oratori per 
la città. E' prevista, tra l'altro, una relazione annuale alle Commissioni di 
riferimento. Per gli oratori la possibilità di lavorare in modo sistematico e 
organizzato per il bene comune ha reso ancora più visibile la propria vocazione 
di servizio, con maggior apertura alle esigenze dei ragazzi, compresa 
l'emergenza educativa. Il servizio alla città non è una dimensione aggiunta 
alla definizione di oratorio: l'essere cittadini è un obiettivo che si integra 
con gli obiettivi formativi offerti 
dall'oratorio.

 

Accogliamo il nostro Pastore: nessuno si senta escluso!

La Visita Pastorale non deve essere concepita come un semplice istituto giuridico, un adempimento burocratico del Vescovo o uno strumento d’indagine sulle parrocchie. Essa è piuttosto un’occasione preziosa per una conoscenza mutua tra Pastore e porzione del popolo di Dio a lui affidata: «un autentico tempo di grazia e momento speciale, anzi unico, in ordine all’incontro e al dialogo del Vescovo con i fedeli» (Pastores gregis, 46). La prospettiva più peculiare della Visita Pastorale è proprio quella dell’incontro con le persone: il primo posto spetta quindi alle persone, sia individualmente che a livello di gruppi e istituzioni, specialmente a coloro che prendono parte a vario titolo all’apostolato. Avranno ovviamente priorità i contatti con gli organismi pastorali, con i gruppi e le associazioni per verificare e incoraggiare il buon andamento delle comunità. Secondariamente la Visita Pastorale interessa anche le cose e i luoghi: per questo motivo il Vescovo delega ad alcuni Convisitatori il compito di esaminare le questioni di carattere più amministrativo, riservando a sé l’incontro con le persone. Nella visita al Popolo di Dio nessuno poi si senta escluso, credente o non-credente, trovando l’occasione di incontrare il Vescovo negli incontri che vengono proposti: in particolare lo sguardo del Vescovo è chiamato a cercare «il diretto contatto con le persone più povere, con gli anziani e gli ammalati» (Pastores gregis, 46).

Per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone: camminare insieme nella santità

Questa espressione della Lettera agli Ebrei (10,24) ci spinge a considerare la chiamata universale alla santità, il cammino costante nella vita spirituale, ad aspirare ai carismi più grandi e a una carità sempre più alta e più feconda (cfr 1 Cor 12,31-13,13). L’attenzione reciproca ha come scopo il mutuo spronarsi ad un amore effettivo sempre maggiore, «come la luce dell’alba, che aumenta lo splendore fino al meriggio» (Pr 4,18), in attesa di vivere il giorno senza tramonto in Dio. Il tempo che ci è dato nella nostra vita è prezioso per scoprire e compiere le opere di bene, nell’amore di Dio. Così la Chiesa stessa cresce e si sviluppa per giungere alla piena maturità di Cristo (cfr Ef 4,13). In tale prospettiva dinamica di crescita si situa la nostra esortazione a stimolarci reciprocamente per giungere alla pienezza dell’amore e delle buone opere.

Purtroppo è sempre presente la tentazione della tiepidezza, del soffocare lo Spirito, del rifiuto di «trafficare i talenti» che ci sono donati per il bene nostro e altrui (cfr Mt 25,25s). Tutti abbiamo ricevuto ricchezze spirituali o materiali utili per il compimento del piano divino, per il bene della Chiesa e per la salvezza personale (cfr Lc 12,21b; 1 Tm 6,18). I maestri spirituali ricordano che nella vita di fede chi non avanza retrocede. Cari fratelli e sorelle, accogliamo l’invito sempre attuale a tendere alla «misura alta della vita cristiana» (Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte [6 gennaio 2001], n. 31). La sapienza della Chiesa nel riconoscere e proclamare la beatitudine e la santità di taluni cristiani esemplari, ha come scopo anche di suscitare il desiderio di imitarne le virtù. San Paolo esorta: «gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10).

Di fronte ad un mondo che esige dai cristiani una testimonianza rinnovata di amore e di fedeltà al Signore, tutti sentano l’urgenza di adoperarsi per gareggiare nella carità, nel servizio e nelle opere buone (cfr Eb 6,10). Questo richiamo è particolarmente forte nel tempo santo di preparazione alla Pasqua. Con l’augurio di una santa e feconda Quaresima, vi affido all’intercessione della Beata Vergine Maria e di cuore imparto a tutti la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 3 novembre 2011

 

BENEDICTUS PP. XVI

I soldi per comprare gli F35 perchè non li giriamo sul welfare?

Ma vogliamo essere contro la guerra, contro i disastri che produce oggi e ancor di più contro le catastrofi che produrranno le prossime guerre mondiali ? Allora dobbiamo capire bene le cause delle guerre moderne. E dobbiamo capire il ruolo dello Stato. Le guerre servono a proteggere la popolazione ? Non mi sembra. Anzi le guerre del novecento hanno inventato i bombardamenti sui civili.
E se le guerre non servono a proteggere la popolazione, perché dovrebbero farlo gli eserciti e gli apparati militari ? Mi sembra che in questa campagna sugli F35 vi sia un equivoco di fondo:
si chiede alle Forze armate di non prepararsi alla guerra, si chiede allo Stato italiano di non investire sulla guerra ma sul welfare sociale.
E’ un controsenso!
Lo Stato nasce storicamente per sottomettere la maggioranza della popolazione alla minoranza che ne ha il controllo economico, questo rimane valido dallo schiavismo greco alla democrazia dell’Unione Europea. Oggi questo è più evidente perchè l’acutizzarsi della concorrenza internazionale costringe l’Europa a misure impopolari per confrontarsi con la Cina e l’Asia.

Infatti l’altra funzione fondamentale degli Stati moderni è di dare rappresentanza e spessore politico alla lotta di concorrenza economica che vi è incessantemente tra i grandi gruppi economici internazionali.
Lotta che dal piano puramente ecomico si traduce sul piano commerciale, poi Monetario (ricordiamoci l’Euro come prima arma dell’Europa Unita), poi diplomatico e politico ed infine militare.

Infatti la Guerra non nasce per accidente, errore o pazzia; ma è lo strumento a cui gli Stati devono per forza ricorrere quando la lotta di concorrenza è talmente forte per cui non riescono a mettersi d’accordo; è la “continuazione della politica precedente con altri mezzi”, quelli militari.
Nessun capitalista vuole la guerra mondiale, ma in certe circostanze vi deve ricorrere. Perchè nel mondo si crea un eccesso di capacità produttiva e si deve decidere quale distruggere, la guerra è lo strumento per decidere misurando i rapporti di forza. Ah dimenticavo: la più importante Capacità produttiva siamo noi lavoratori, ecco spiegati i bombardamenti sui civili.

L’Europa sta riducendo il welfare, i salari, sta rendendo tutti licenziabili e adesso vuole abolire il diritto di sciopero … perché deve reggere la concorrenza mondiale.
Ma nel frattempo, poichè sanno bene che alla fine si arriverà allo strumento militare, si stanno riarmando (come tutti i concorrenti). E dopo l’Euro la priorità europea è stata costituire l’Esercito Europeo.

In Europa la scelta italiana degli F35 è stata criticata perchè in contrasto con la scelta europea di dotarsi di un proprio caccia: l’Eurofighter, il caccia più avanzato sviluppato totalmente in Europa. L’Italia ha comunque acquistato anche gli Eurofighter. Questa disputa entra nello scontro tra USA e Ue sul ruolo autonomo della Difesa Europea in contrasto con il ruolo predominante degli USA nel comando Nato.

Ma voi che preferite essere uccisi o uccidere con un missile partito da un’aereo prodotto in Europa o con uno prodotto negli Usa ?

Se vogliamo veramente eliminare la guerra dobbiamo eliminare il sistema economico attuale, se vogliamo essere contro la guerra dobbiamo essere contro lo Stato a cominciare dal proprio – perchè lo Stato NON siamo Noi, solo loro i grandi gruppi economici.
Dobbiamo anche fare attenzione a non farci mettere sulla testa – senza che ce ne accorgiamo – l’elmetto europeo.

Vi consiglio due letture fondamentali:
– L’Imperialismo di Lenin – scritto durante la prima guerra mondiale per spiegarne le cause
– Stato e Rivoluzione sempre di Lenin – in cui chiarisce cosa è lo Stato e perchè è possibile e necessario abolirlo.

Spero di suscitare una discussione, rispondetemi.

LA DITTATURA DELLA FINANZA : ABBIAMO TRADITO IL VANGELO

In questo  periodo quaresimale sento l’urgenza di condividere con voi una riflessione sulla ‘tempesta finanziaria’ che sta scuotendo l’Europa , rimettendo tutto in discussione :diritti, democrazia, lavoro….In più arricchendo sempre di più pochi a scapito dei molti impoveriti.Una tempesta che rivela finalmente il vero volto del nostro Sistema: la dittatura della finanza. L’Europa come l’Italia è prigioniera di banche e banchieri. E’ il trionfo della finanza o meglio del Finanzcapitalismo come Luciano Gallino lo definisce :“Il finanzcapitalismo è una mega-macchina ,che è stata sviluppata nel corso degli ultimi decenni, allo scopo di massimizzare  e accumulare sotto forma di capitale e insieme di potere, il valore estraibile sia del maggior numero di esseri umani sia degli eco-sistemi.”

Estrarre valore è la parola chiave del Finanzcapitalismo che si contrappone al produrre valore del capitalismo industriale, che abbiamo conosciuto nel dopoguerra. E’ un cambiamento radicale del Sistema!

Il cuore del nuovo Sistema è il Denaro che produce Denaro e poi ancora Denaro.Un Sistema basato sull’azzardo morale, sull’irresponsabilità del capitale , sul debito che genera debito.E’ la cosidetta “Finanza creativa” , con i suoi ‘pacchetti tossici’ dai nomi più strani(sub-prime, derivati,futuri, hedge-funds…) che hanno portato a questa immensa bolla speculativa che si aggira, secondo gli esperti, sul milione di miliardi di dollari! Mentre il PIL mondiale si  aggira sui sessantamila miliardi di dollari. Un abisso separa quei due mondi:il reale e lo speculativo. La finanza non corrisponde più all’economia reale. E’ la finanziarizzazione dell’economia.

Per di più le operazioni finanziarie sono ormai compiute non da esseri umani, ma da algoritmi, cioè da cervelloni elettronici che, nel giro di secondi, rispondono alle notizie dei mercati. Nel 2009 queste operazioni, che si concludono nel giro di pochi secondi, senza alcun rapporto con l’economia reale, sono aumentate del 60% del totale. L’import-export di beni e servizi nel mondo è stimato intorno ai 15.000 miliardi di dollari l’anno. Il mercato delle valute ha superato i 4.000 miliardi al giorno: circolano più soldi in quattro giorni sui mercati finanziari che in un anno nell’economia reale. E’ come dire che oltre il 90% degli scambi valutari è pura speculazione.

Penso che tutto questo cozza radicalmente con la tradizione delle scritture ebraiche radicalizzate da Gesù di Nazareth.Un insegnamento, quello di Gesù, che ,uno dei nostri migliori moralisti,don Enrico Chiavacci, nel suo volume Teologiamoralee vitaeconomica , riassume in due comandamenti, validi per ogni discepolo:” Cerca di non arricchirti “ e “Se hai, hai per condividere.”

Da questi due comandamenti , Chiavacci ricava due divieti etici: “divieto di ogni attività economica di tipo eslusivamente speculativo” come giocare in borsa con la variante della speculazione valutaria e ” divieto di contratto aleatorio”.Questo ultimo ,Chiavacci lo spiega così :” Ogni forma di azzardo e di rischio di una somma, con il solo scopo di vederla ritornare moltiplicata, senza che ciò implichi attività lavorativa, è pura ricerca di ricchezza ulteriore.” Ne consegue che la filiera del gioco, dal ‘gratta e vinci’ al casinò ,è immorale.

Tutto questo , sostiene sempre Chiavacci ,“ cozza contro tutta la cultura occidentale che è basata sull’avere di più. Nella cultura occidentale la struttura economica è tale che la ricchezza genera ricchezza”.

Noi cristiani d’Occidente dobbiamo chiederci cosa ne abbiamo fatto di questo insegnamento di Gesù in campo economico-finanziario. Forse ha ragione il gesuita p.John Haughey quando afferma :”Noi occidentali leggiamo il vangelo come se non avessimo soldi e usiamo i soldi come se non conoscessimo nulla del Vangelo.” Dobbiamo ammettere che come chiese abbiamo tradito il Vangelo , dimenticando la radicalità dell’insegnamento di Gesù :parole come ” Dio o Mammona,”o  il comando al ricco:”Và, vendi quello che hai e dallo ai poveri”.

In un contesto storico come il nostro, dove Mammona è diventato il dio-mercato, le chiese, eredi di una parola forte di Gesù, devono iniziare a proclamarla senza paura e senza sconti nelle assemblee liturgiche come sulla pubblica piazza.

L’attuale crisi finanziaria “ha rivelato comportamenti di egoismo, di cupidigia collettiva e di accaparramento di beni su grande scala-così afferma il recente Documento del Pontificio Consiglio di Giustizia  e Pace( Per una riforma del Sistema finanziario e monetario internazionale). Nessuno può rassegnarsi a vedere l’uomo vivere come  ‘homo homini lupus’ ”.

Per questo è necessario passare, da parte delle comunità cristiane, dalle parole ai fatti, alle scelte concrete, alla prassi quotidiana:”Non chiunque mi dice: ‘Signore, Signore’ entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che  fa la volontà del Padre mio”.(Matteo, 7,21)

Come Chiese,dobbiamo prima di tutto chiedere perdono per aver tradito il messaggio di Gesù in campo economico-finanziario, partecipando a questa bolla speculativa finanziaria( il grande Casinò mondiale).

Ma pentirsi non è sufficiente, dobbiamo cambiare rotta, sia a livello istituzionale che personale.

A livello istituzionale(diocesi e parrocchie):

-promuovendo commissioni etiche per vigilare sulle operazioni bancarie ;

-invitando tutti al dovere morale di pagare le tasse;

-ritirando i propri soldi da tutte le banche commerciali dedite a fare profitto sui mercati internazionali;

-investendo i propri soldi in attività di utilità sociale e ambientale, rifiutandosi di fare soldi con i soldi ;

– collocando invece  i propri risparmi in cooperative locali o nelle banche di credito cooperativo;

-privilegiando la Banca Etica, le MAG (Mutue auto-gestione) o le cooperative finanziarie.

-rifiutando le donazioni che provengono da speculazioni finanziarie, soprattutto  sul cibo, come ha detto recentemente Benedetto XVI nel suo discorso alla FAO.

A livello personale ogni cristiano ha il dovere morale di controllare:

-in quale banca ha depositato i propri risparmi;

-se è una” banca armata”, cioè investe soldi in armi;

-se partecipa al grande casinò della speculazione finanziaria;

-se ha filiali in qualche paradiso fiscale;

-se ottiene i profitti da ‘derivati’ o altri ‘pacchetti tossici’.

“Le banche ,che dopo aver distrutto la nostra economia, sono tornate a fare affari- scrive il pastore americano Jim Wallis- devono ricevere un chiaro messaggio che noi troviamo la loro condotta inaccettabile.Rimuovere i  nostri soldi può fare loro capire quel messaggio.”

Ha ragione don Enrico Chiavacci ad affermare:”Questa logica dell’avere di più e della massimizzazione del profitto si mantiene attraverso le mille piccole scelte ,frutto di un deliberato condizionamento. Le grandi modificazioni strutturali, assolutamente necessarie, non potranno mai nascere dal nulla:occorre una rivoluzione culturale capillare. Se è vero che l’annuncio cristiano portò all’abolizione della schiavitù, non si vede perché lo stesso annuncio non possa portare a una paragonabile modificazione di mentalità e quindi di strutture. Il dovere di testimonianza, per chi è in grado di sfuggire a una presa totale del condizionamento,è urgente.” Buona Pasqua di Risurrezione a tutti! Alex  Zanotelli

 

La Legalità

Il principio della legalità, valore che tutti condividono, è spesso oggetto di violazioni che generano disagio sociale e inquietudine soprattutto nei giovani. Per questo la cultura della legalità si sviluppa anzitutto, attraverso l’educazione. Un ruolo di primo piano, quindi, spetta alla scuola. La scuola deve assumersi il compito prioritario di formare cittadini che comprendano che solo il rispetto delle regole permette una buona convivenza civile.

Se gli uomini vivessero come animali, l’istinto li porterebbe ad impossessarsi di tutto ciò che serve loro per soddisfare i propri bisogni naturali e ad evitare ciò che li disturba; ne conseguirebbe inevitabilmente un perenne stato di lotta dove il più forte sopravvivrebbe a danno del più debole destinato a cedere. Gli uomini però sono in grado di ragionare e scelgono ciò che loro conviene maggiormente: si accordano con i propri simili, autorizzando la legge a stabilire quali sono i comportamenti da tenere e quali quelli da evitare.

Il perseguimento di una maggiore legalità e di un maggiore rispetto delle regole è un compito difficile che richiede nel nostro Paese un cambiamento. Per far sì che si progredisca occorre intanto che ogni singolo cittadino partecipi alla vita pubblica con maggiore impegno, che reclami i propri diritti e che adempisca, in prima persona, i propri doveri. Lo sviluppo di una cittadinanza più consapevole e partecipativa, magari utilizzando la potenza dei nuovi mezzi di comunicazione che al giorno d’oggi ci vengono messi a disposizione, come ad esempio la Rete, forse può ancora salvarci.

Marco Sansone

“Gli uni agli altri”: il dono della reciprocità.

Tale «custodia» verso gli altri contrasta con una mentalità che, riducendo la vita alla sola dimensione terrena, non la considera in prospettiva escatologica e accetta qualsiasi scelta morale in nome della libertà individuale. Una società come quella attuale può diventare sorda sia alle sofferenze fisiche, sia alle esigenze spirituali e morali della vita. Non così deve essere nella comunità cristiana! L’apostolo Paolo invita a cercare ciò che porta «alla pace e alla edificazione vicendevole» (Rm 14,19), giovando al «prossimo nel bene, per edificarlo» (ibid. 15,2), senza cercare l’utile proprio «ma quello di molti, perché giungano alla salvezza» (1 Cor 10,33). Questa reciproca correzione ed esortazione, in spirito di umiltà e di carità, deve essere parte della vita della comunità cristiana.

I discepoli del Signore, uniti a Cristo mediante l’Eucaristia, vivono in una comunione che li lega gli uni agli altri come membra di un solo corpo. Ciò significa che l’altro mi appartiene, la sua vita, la sua salvezza riguardano la mia vita e la mia salvezza. Tocchiamo qui un elemento molto profondo della comunione:la nostra esistenza è correlata con quella degli altri, sia nel bene che nel male; sia il peccato, sia le opere di amore hanno anche una dimensione sociale. Nella Chiesa, corpo mistico di Cristo, si verifica tale reciprocità: la comunità non cessa di fare penitenza e di invocare perdono per i peccati dei suoi figli, ma si rallegra anche di continuo e con giubilo per le testimonianze di virtù e di carità che in essa si dispiegano. «Le varie membra abbiano cura le une delle altre»(1 Cor 12,25), afferma San Paolo, perché siamo uno stesso corpo. La carità verso i fratelli, di cui è un’espressione l’elemosina – tipica pratica quaresimale insieme con la preghiera e il digiuno – si radica in questa comune appartenenza. Anche nella preoccupazione concreta verso i più poveri ogni cristiano può esprimere la sua partecipazione all’unico corpo che è la Chiesa. Attenzione agli altri nella reciprocità è anche riconoscere il bene che il Signore compie in essi e ringraziare con loro per i prodigi di grazia che il Dio buono e onnipotente continua a operare nei suoi figli. Quando un cristiano scorge nell’altro l’azione dello Spirito Santo, non può che gioirne e dare gloria al Padre celeste (cfr Mt 5,16).

La newsletter: un dialogo a …portata di clik

Per favorire al meglio la comunicazione tra tutti i frequentatori dell’Opera ed essere puntualmente informati su quanto avviene nella nostro parrocchia abbiamo realizzato la newsletter. Chiunque inserendo la propria email srà raggiunto dall’ultimo post inserito nel sito www.operasanmichele.it Le notizie che vi giungeranno potranno essere anche di semplici riflessioni sulle tante questioni della vita e non solo, anche sul momento liturgico che stiamo vivendo o comunicazioni dei nostri sacerdoti. E’ questo uno strumento utile per dialogare meglio e in tempo reale con tutti. Per un servizio più efficace facciamo aderire a tutti anche chi non ha ancora scoperto l’esistenza del sito…..

In Capitanata la “Raccolta alimentare”

L’iniziativa, che si svolgerà sabato 3 marzo, è promossa dal Banco delle Opere di Carità Si terrà sabato 3 marzo a Foggia, e in molti centri della Capitanata, la “Giornata della Raccolta alimentare per la fame in Italia”. L’iniziativa, organizzata a livello nazionale dal “Banco delle Opere di Carità”, in Puglia vede un impegno notevole grazie alle tre sedi locali site ad Alessano, Squinzano e Foggia. In Capitanata saranno coinvolti oltre seicento volontari, impegnati in circa sessanta supermercati di Foggia e provincia, che dalle ore 9.00 alle ore 20.00 sensibilizzeranno la popolazione della Capitanata ad acquistare, durante la spesa familiare, prodotti alimentari non deperibili da destinare alle famiglie bisognose.

Il Banco, che ha una delle sue sedi presso la Parrocchia del Santissimo Salvatore in via Napoli a Foggia, promuove da due anni nel capoluogo questa importante iniziativa di solidarietà.

Attraverso gli enti convenzionati il Banco del capoluogo, infatti, distribuirà i viveri raccolti a circa dodicimila persone della provincia che vivono nell’indigenza.

“La città di Foggia e la sua provincia – ha affermato don Michele Tutalo, Direttore del Banco delle Opere di Carità di Foggia – ha dimostrato e sta dimostrando una grandissima sensibilità nei confronti delle famiglie povere. Oggi ancor di più, le persone sono consapevoli che solo nella reciprocità si può trovare una base comune per affrontare le difficoltà quotidiane. In tempo di crisi – ha concluso – si accentua il senso di solidarietà della popolazione di Capitanata. E questo è meraviglioso”.